Niccolò

Machiavelli

Il Principe

The Prince

Translated by William K. Marriott
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DEDICA.

CAPITOLO I — Quante siano le specie de’ Principati, e con quali modi si acquistino.

CAPITOLO II — De’ Principati ereditari.

CAPITOLO III — De’ principati misti.

CAPITOLO IV — Perchè il Regno di Dario da Alessandro occupato non si ribellò dalli successori di Alessandro dopo la sua morte.

CAPITOLO V — In che modo siano da governare le città o Principati, quali, prima che occupati fussino, vivevano con le loro leggi.

CAPITOLO VI — De’ Principati nuovi, che con le proprie armi e virtù si acquistano.

CAPITOLO VII — De’ Principati nuovi, che con forze d’altri e per fortuna si acquistano.

CAPITOLO VIII — Di quelli che per scelleratezze sono pervenuti al Principato.

CAPITOLO IX — Del Principato civile.

CAPITOLO X — In che modo le forze di tutti i Principati si debbino misurare.

CAPITOLO XI — De’ Principati Ecclesiastici.

CAPITOLO XII — Quante siano le spezie della milizia, e de’ soldati mercenari.

CAPITOLO XIII — De’ soldati ausiliari, misti, e propri.

CAPITOLO XIV — Quello che al Principe si appartenga circa la milizia.

CAPITOLO XV — Delle cose, mediante le quali gli uomini, e massimamente i Principi, sono lodati o vituperati.

CAPITOLO XVI — Della liberalità e miseria.

CAPITOLO XVII — Della crudeltà e clemenzia; e se egli è meglio essere amato, che temuto.

CAPITOLO XVIII — In che modo i Principi debbino osservare la fede.

CAPITOLO XIX — Che si debbe fuggire l’essere disprezzato e odiato.

CAPITOLO XX — Se le fortezze, e molte altre cose che spesse volte i Principi fanno, sono utili o dannose.

CAPITOLO XXI — Come si debba governare un Principe per acquistarsi riputazione.

CAPITOLO XXII — Delli segretari de’ Principi.

CAPITOLO XXIII — Come si debbino fuggire gli adulatori.

CAPITOLO XXIV — Perchè i Principi d’Italia abbino perduto i loro Stati.

CAPITOLO XXV — Quanto possa nelle umane cose la fortuna, e in che modo se gli possa ostare.

CAPITOLO XXVI — Esortazione a liberare la Italia da’ barbari.

Colophon

DEDICA.

NICC. MACHIAVELLI
AL
MAGNIFICO LORENZO
DI PIERO DE’ MEDICI.

So­glio­no il più del­le vol­te co­lo­ro che de­si­de­ra­no ac­qui­sta­re gra­zia ap­pres­so un Prin­ci­pe, far­se­gli in­nan­zi
con quel­le cose, che tra le loro ab­bi­no più care, o del­le qua­li veg­ghi­no lui più di­let­tar­si;
don­de si vede mol­te vol­te es­ser loro pre­sen­ta­ti ca­val­li, arme, drap­pi d’oro, pie­tre pre­zio­se e si­mi­li or­na­men­ti, de­gni del­la gran­dez­za di quel­li.
De­si­de­ran­do io adun­que of­fe­rir­mi alla Vo­stra Ma­gni­fi­cen­za con qual­che te­sti­mo­ne del­la ser­vi­tù mia ver­so di quel­la,
non ho tro­va­to, tra la mia sup­pel­let­ti­le, cosa, qua­le io ab­bia più cara, o tan­to sti­mi, quan­to la co­gni­zio­ne del­le azio­ni de­gli uo­mi­ni gran­di,
im­pa­ra­ta da me con una lun­ga spe­rien­za del­le cose mo­der­ne, ed una con­ti­no­va le­zio­ne del­le an­ti­che,
la qua­le aven­do io con gran di­li­gen­za lun­ga­men­te esco­gi­ta­ta ed esa­mi­na­ta, ed ora in uno pic­co­lo vo­lu­me ri­dot­ta, man­do alla Ma­gni­fi­cen­za Vo­stra.
E ben­chè io giu­di­chi que­sta ope­ra in­de­gna del­la pre­sen­za di quel­la;
non­di­me­no con­fi­do as­sai, che per sua uma­ni­tà gli deb­ba es­se­re ac­cet­ta, con­si­de­ra­to che da me non li pos­sa es­se­re fat­to mag­gior dono,
che dar­le fa­cul­tà a po­ter in bre­vis­si­mo tem­po in­ten­de­re tut­to quel­lo, che io in tan­ti anni, e con tan­ti miei di­sa­gi e pe­ri­co­li ho co­gno­sciu­to ed in­te­so:
la qua­le ope­ra io non ho or­na­ta nè ri­pie­na di clau­su­le am­pie, o di pa­ro­le am­pol­lo­se o ma­gni­fi­che,
o di qua­lun­que al­tro le­no­ci­nio o or­na­men­to estrin­se­co, con li qua­li mol­ti so­glio­no le lor cose di­scri­ve­re ed or­na­re;
per­chè io ho vo­lu­to o che ve­ru­na cosa la ono­ri, o che so­la­men­te la ve­ri­tà del­la ma­te­ria, e la gra­vi­tà del sog­get­to la fac­cia gra­ta.
Nè vo­glio sia ri­pu­ta­ta pre­sun­zio­ne, se uno uomo di bas­so ed in­fi­mo sta­to ar­di­sce di­scor­re­re e re­go­la­re i go­ver­ni de’ Prin­ci­pi;
per­chè così come co­lo­ro che di­se­gna­no i pae­si, si pon­go­no bas­si nel pia­no a con­si­de­ra­re la na­tu­ra de’ mon­ti e de’ luo­ghi alti,
e per con­si­de­ra­re quel­la de’ bas­si si pon­go­no alti so­pra i mon­ti;
si­mil­men­te, a co­gno­scer bene la na­tu­ra de’ po­po­li bi­so­gna es­ser Prin­ci­pe, ed a co­gno­scer bene quel­la de’ Prin­ci­pi con­vie­ne es­se­re po­po­la­re.
Pi­gli adun­que Vo­stra Ma­gni­fi­cen­za que­sto pic­co­lo dono con quel­lo ani­mo che io lo man­do;
il qua­le se da quel­la fia di­li­gen­te­men­te con­si­de­ra­to e let­to, vi co­gno­sce­rà den­tro uno estre­mo mio de­si­de­rio,
che ella per­ven­ga a quel­la gran­dez­za che la for­tu­na, e le al­tre sue qua­li­tà le pro­met­to­no.
E se Vo­stra Ma­gni­fi­cen­za dal­lo api­ce del­la sua al­tez­za qual­che vol­ta vol­ge­rà gli oc­chi in que­sti luo­ghi bas­si,
co­gno­sce­rà, quan­to in­de­gna­men­te io sop­por­ti una gran­de e con­ti­no­va ma­li­gni­tà di for­tu­na.

CAPITOLO I — Quante siano le specie de’ Principati, e con quali modi si acquistino.

Tut­ti gli Sta­ti, tut­ti i do­mi­nii che han­no avu­to, e han­no im­pe­rio so­pra gli uo­mi­ni, sono sta­ti e sono o Re­pub­bli­che o Prin­ci­pa­ti.
I prin­ci­pa­ti sono o ere­di­ta­ri, de’ qua­li il san­gue del loro Si­gno­re ne sia sta­to lun­go tem­po Prin­ci­pe, o e’ sono nuo­vi.
I nuo­vi o sono nuo­vi tut­ti, come fu Mi­la­no a Fran­ce­sco Sfor­za,
o sono come mem­bri ag­giun­ti allo sta­to ere­di­ta­rio del Prin­ci­pe che gli ac­qui­sta, come è il Re­gno di Na­po­li al Re di Spa­gna.
Sono que­sti do­mi­nii, così ac­qui­sta­ti, o con­sue­ti a vi­ve­re sot­to un Prin­ci­pe, o usi ad es­ser li­be­ri;
ed ac­qui­stan­si o con le armi di al­tri o con le pro­prie, o per for­tu­na o per vir­tù.

CAPITOLO II — De’ Principati ereditari.

Io la­sce­rò in­die­tro il ra­gio­na­re del­le Re­pub­bli­che, per­chè al­tra vol­ta ne ra­gio­nai a lun­go.
Vol­te­rom­mi solo al Prin­ci­pa­to, e an­de­rò, nel ri­tes­se­re que­ste or­di­tu­re di so­pra, di­spu­tan­do come que­sti Prin­ci­pa­ti si pos­so­no go­ver­na­re e man­te­ne­re.
Dico adun­que, che nel­li Sta­ti ere­di­ta­ri, ed as­sue­fat­ti al san­gue del loro Prin­ci­pe, sono as­sai mi­no­ri dif­fi­cul­tà a man­te­ner­gli, che ne’ nuo­vi;
per­chè ba­sta solo non tra­pas­sa­re l’or­di­ne de’ suoi an­te­na­ti, e di­poi tem­po­reg­gia­re con gli ac­ci­den­ti,
in modo che se tal Prin­ci­pe è di or­di­na­ria in­du­stria, sem­pre si man­ter­rà nel suo Sta­to, se non è una straor­di­na­ria ed ec­ces­si­va for­za che ne lo pri­va;
e pri­va­to che ne sia, quan­tun­que di si­ni­stro ab­bia lo oc­cu­pa­to­re, lo rac­qui­sta.
Noi ab­bia­mo in Ita­lia, per esem­pio, il Duca di Fer­ra­ra, il qua­le non ha ret­to agli as­sal­ti de’ Vi­ni­zia­ni nell’84,
nè a quel­li di Papa Iu­lio nel 10 per al­tre ca­gio­ni che per es­se­re an­ti­qua­to in quel Do­mi­nio.
Per­chè il Prin­ci­pe na­tu­ra­le ha mi­no­ri ca­gio­ni e mi­no­ri ne­ces­si­tà di of­fen­de­re; don­de con­vie­ne che sia più ama­to;
e se stra­sor­di­na­rii vizi non lo fan­no odia­re, è ra­gio­ne­vo­le che na­tu­ral­men­te sia ben vo­lu­to da’ suoi;
e nell’an­ti­chi­tà e con­ti­nua­zio­ne del do­mi­nio sono spen­te le me­mo­rie e le ca­gio­ni del­le in­no­va­zio­ni;
per­chè sem­pre una mu­ta­zio­ne la­scia lo ad­den­tel­la­to per la edi­fi­ca­zio­ne dell’al­tra.

CAPITOLO III — De’ principati misti.

Ma nel Prin­ci­pa­to nuo­vo con­si­sto­no le dif­fi­cul­tà.
E pri­ma se non è tut­to nuo­vo, ma come mem­bro, che si può chia­ma­re tut­to in­sie­me qua­si mi­sto,
le va­ria­zio­ni sue na­sco­no in pri­ma da una na­tu­ral dif­fi­cul­tà, qua­le è in tut­ti i Prin­ci­pa­ti nuo­vi;
per­chè gli uo­mi­ni mu­ta­no vo­len­tie­ri Si­gno­re, cre­den­do mi­glio­ra­re; e que­sta cre­den­za gli fa pi­gliar l’arme con­tro a chi reg­ge;
di che s’in­gan­na­no, per­chè veg­go­no poi per espe­rien­za aver peg­gio­ra­to.
Il che di­pen­de da un’al­tra ne­ces­si­tà na­tu­ra­le ed or­di­na­ria, qua­le fa che sem­pre bi­so­gni of­fen­de­re quel­li,
di chi si di­ven­ta nuo­vo Prin­ci­pe; e con gen­te d’arme, e con in­fi­ni­te al­tre in­giu­rie che si tira die­tro il nuo­vo ac­qui­sto.
Di­mo­do­chè ti tro­vi ave­re ini­mi­ci tut­ti quel­li che tu hai of­fe­si in oc­cu­pa­re quel Prin­ci­pa­to;
e non ti puoi man­te­ne­re ami­ci quel­li, che vi ti han­no mes­so, per non gli po­te­re sa­ti­sfa­re in quel modo che si era­no pre­sup­po­sto,
e per non po­te­re tu usa­re con­tra di loro me­di­ci­ne for­ti, es­sen­do loro ob­bli­ga­to;
per­chè sem­pre, an­cor­chè uno sia for­tis­si­mo in su gli eser­ci­ti, ha bi­so­gno del fa­vo­re de’ pro­vin­cia­li ad en­tra­re in una pro­vin­cia.
Per que­ste ra­gio­ni Lui­gi XII Re di Fran­cia oc­cu­pò su­bi­to Mi­la­no, e su­bi­to lo per­dè,
e ba­sta­ro­no a to­glier­lo la pri­ma vol­ta le for­ze pro­prie di Lo­do­vi­co;
per­chè quel­li po­po­li, che gli ave­va­no aper­te le por­te, tro­van­do­si in­gan­na­ti del­la opi­nio­ne loro, e di quel fu­tu­ro bene che si avea­no pre­sup­po­sto,
non po­te­va­no sop­por­ta­re fa­sti­di del nuo­vo Prin­ci­pe.
È ben vero che ac­qui­stan­do­si poi la se­con­da vol­ta i pae­si ri­bel­la­ti, si per­do­no con più dif­fi­cul­tà;
per­chè il Si­gno­re, pre­sa oc­ca­sio­ne dal­la re­bel­lio­ne, è meno ri­spet­ti­vo ad as­si­cu­rar­si, con pu­ni­re i de­lin­quen­ti,
chia­ri­re i so­spet­ti, prov­ve­der­si nel­le par­ti più de­bo­li.
In modo che se a far per­de­re Mi­la­no a Fran­cia ba­stò la pri­ma vol­ta un Duca Lo­do­vi­co, che ro­mo­reg­gias­se in su’
con­fi­ni, a far­lo di­poi per­de­re la se­con­da, gli bi­so­gnò ave­re con­tro il mon­do tut­to,
e che gli eser­ci­ti suoi fos­se­ro spen­ti, e cac­cia­ti d’Ita­lia; il che nac­que dal­le ca­gio­ni so­prad­det­te.
Non­di­me­no e la pri­ma e la se­con­da vol­ta gli fu tol­to.
Le ca­gio­ni uni­ver­sa­li del­la pri­ma si sono di­scor­se; re­sta ora a ve­de­re quel­le del­la se­con­da, e dire che re­me­dii egli ave­va,
e qua­li può ave­re uno che fus­se ne’ ter­mi­ni suoi, per po­ter­si me­glio man­te­ne­re nel­lo ac­qui­sta­to, che non fece il Re di Fran­cia.
Dico per­tan­to, che que­sti Sta­ti, i qua­li ac­qui­stan­do­si si ag­giun­go­no a uno Sta­to an­ti­co di quel­lo che gli ac­qui­sta,
o sono del­la me­de­si­ma pro­vin­cia e del­la me­de­si­ma lin­gua, o non sono.
Quan­do sia­no, è fa­ci­li­tà gran­de a te­ner­gli, mas­si­ma­men­te quan­do non sia­no usi a vi­ve­re li­be­ri;
e, a pos­se­der­gli si­cu­ra­men­te, ba­sta ave­re spen­ta la li­nea del Prin­ci­pe, che li do­mi­na­va;
per­chè nel­le al­tre cose, man­te­nen­do­si loro le con­di­zio­ni vec­chie, e non vi es­sen­do di­sfor­mi­tà di co­stu­mi,
gli uo­mi­ni si vi­vo­no quie­ta­men­te, come si è vi­sto, che ha fat­to la Bor­go­gna, la Ber­ta­gna, la Gua­sco­gna, e la Nor­man­dia, che tan­to tem­po sono sta­te con Fran­cia;
e ben­chè vi sia qual­che di­sfor­mi­tà di lin­gua, non­di­me­no i co­stu­mi sono si­mi­li, e pos­son­si tra loro fa­cil­men­te com­por­ta­re:
e a chi le ac­qui­sta, vo­len­do­le te­ne­re, bi­so­gna ave­re due ri­spet­ti; l’uno che il san­gue del loro Prin­ci­pe an­ti­co si spen­ga;
l’al­tro di non al­te­ra­re nè loro leg­gi nè loro dazi; tal­men­te­chè in bre­vis­si­mo tem­po di­ven­ta con il loro Prin­ci­pa­to an­ti­co tut­to un cor­po.
Ma quan­do si ac­qui­sta­no Sta­ti in una pro­vin­cia di­sfor­me di lin­gua, di co­stu­mi, e di or­di­ni, qui sono le dif­fi­cul­tà,
e qui bi­so­gna ave­re gran for­tu­na, e gran­de in­du­stria a te­ner­gli;
ed uno de’ mag­gio­ri ri­me­dii e più vivi sa­reb­be, che la per­so­na di chi gli ac­qui­sta vi an­das­se ad abi­ta­re.
Que­sto fa­reb­be più si­cu­ra e più du­ra­bi­le quel­la pos­ses­sio­ne, come ha fat­to il Tur­co di Gre­cia,
il qua­le con tut­ti gli al­tri or­di­ni os­ser­va­ti da lui per te­ne­re quel­lo Sta­to, se non vi fus­se ito ad abi­ta­re, non era pos­si­bi­le, che lo te­nes­se.
Per­chè stan­do­vi, si veg­go­no na­sce­re i di­sor­di­ni, e pre­sto vi si può ri­me­dia­re;
non vi stan­do, s’in­ten­do­no quan­do sono gran­di, e non vi è più ri­me­dio. Non è ol­tre a que­sto la pro­vin­cia spo­glia­ta da’ tuoi ufi­zia­li;
sa­ti­sfan­no­si i sud­di­ti del ri­cor­so pro­pin­quo al Prin­ci­pe, don­de han­no più ca­gio­ne di amar­lo, vo­len­do es­se­re buo­ni, e vo­len­do es­se­re al­tri­men­te, di te­mer­lo.
Chi de­gli ester­ni vo­les­se as­sal­ta­re quel­lo Sta­to, vi ha più ri­spet­to;
tan­to­chè abi­tan­do­vi lo può con gran­dis­si­ma dif­fi­cul­tà per­de­re.
L’al­tro mi­glio­re ri­me­dio è man­da­re co­lo­nie in uno o in due luo­ghi, che sia­no qua­si le chia­vi di quel­lo Sta­to;
per­chè è ne­ces­sa­rio o far que­sto, o te­ner­vi as­sai gen­te d’arme e fan­te­rie.
Nel­le co­lo­nie non ispen­de mol­to il Prin­ci­pe, e sen­za sua spe­sa, o poca, ve le man­da e tie­ne,
e so­la­men­te of­fen­de co­lo­ro, a chi to­glie i cam­pi e le case per dar­le a’ nuo­vi abi­ta­to­ri, che sono una mi­ni­ma par­te di quel­lo Sta­to;
e quel­li che egli of­fen­de, ri­ma­nen­do di­sper­si e po­ve­ri, non gli pos­so­no mai nuo­ce­re, e tut­ti gli al­tri ri­man­go­no da una par­te non of­fe­si, e per que­sto si quie­ta­no fa­cil­men­te;
dall’al­tra pau­ro­si di non er­ra­re, per­chè non in­ter­ve­nis­se loro come a quel­li che sono sta­ti spo­glia­ti.
Con­chiu­do, che que­ste co­lo­nie non co­sta­no, sono più fe­de­li, of­fen­do­no meno,
e gli of­fe­si, es­sen­do po­ve­ri e di­sper­si, non pos­so­no nuo­ce­re, come ho det­to.
Per­chè si ha a no­ta­re, che gli uo­mi­ni si deb­bo­no o vez­zeg­gia­re o spe­gne­re,
per­chè si ven­di­ca­no del­le leg­gie­ri of­fe­se; del­le gra­vi non pos­so­no:
sic­chè l’of­fe­sa che si fa all’uomo, deve es­se­re in modo, che ella non tema la ven­det­ta.
Ma te­nen­do­vi, in cam­bio di co­lo­nie, gen­te d’arme, si spen­de più as­sai,
aven­do a con­su­ma­re nel­la guar­dia tut­te l’en­tra­te di quel­lo Sta­to: in modo che l’ac­qui­sta­to gli tor­na in per­di­ta, ed of­fen­de mol­to più;
per­chè nuo­ce a tut­to quel­lo Sta­to, tra­mu­tan­do con gli al­log­gia­men­ti il suo eser­ci­to; del qua­le di­sa­gio ognu­no ne sen­te,
e cia­scu­no li di­ven­ta ni­mi­co, e sono ini­mi­ci, che gli pos­so­no nuo­ce­re, ri­ma­nen­do bat­tu­ti in casa loro.
Da ogni par­te dun­que que­sta guar­dia è inu­ti­le, come quel­la del­le co­lo­nie è uti­le.
Deb­be an­co­ra chi è in una pro­vin­cia di­sfor­me, come è det­to, far­si capo e di­fen­so­re de’ vi­ci­ni mi­no­ri po­ten­ti,
ed in­ge­gnar­si d’in­de­bo­li­re i più po­ten­ti di quel­la, e guar­da­re che, per ac­ci­den­te al­cu­no, non vi en­tri uno fo­re­stie­re non meno po­ten­te di lui:
e sem­pre in­ter­ver­rà che vi sarà mes­so da co­lo­ro che sa­ran­no in quel­la mal­con­ten­ti o per trop­pa am­bi­zio­ne o per pau­ra;
come si vide già che gli Eto­li mi­se­ro li Ro­ma­ni in Gre­cia;
ed in ogni al­tra pro­vin­cia che loro en­tra­ro­no, vi fu­ro­no mes­si dai pro­vin­cia­li.
E l’or­di­ne del­la cosa è, che su­bi­to che un fo­re­stie­re po­ten­te en­tra in una pro­vin­cia,
tut­ti quel­li che sono in essa meno po­ten­ti, gli ade­ri­sco­no, mos­si da una in­vi­dia che han­no con­tro a chi è sta­to po­ten­te so­pra di loro;
tan­to­chè ri­spet­to a que­sti mi­no­ri po­ten­ti, egli non ha a du­ra­re fa­ti­ca al­cu­na a gua­da­gnar­li,
per­ché su­bi­to tut­ti in­sie­me vo­len­tie­ri fan­no mas­sa con lo Sta­to, che egli vi ha ac­qui­sta­to.
Ha so­la­men­te a pen­sa­re, che non pi­gli­no trop­pe for­ze, e trop­pa au­to­ri­tà;
e fa­cil­men­te può con le for­ze sue, e con il fa­vor loro ab­bas­sa­re quel­li che sono po­ten­ti, per ri­ma­ne­re in tut­to ar­bi­tro di quel­la pro­vin­cia.
E chi non go­ver­ne­rà bene que­sta par­te, per­de­rà pre­sto quel­lo che arà ac­qui­sta­to; e men­tre che lo ter­rà, vi arà den­tro in­fi­ni­te dif­fi­cul­tà e fa­sti­di.
I Ro­ma­ni nel­le pro­vin­cie che pi­glia­ro­no, os­ser­va­ro­no bene que­ste par­ti,
e man­da­ro­no le co­lo­nie, in­trat­te­ne­ro­no i men po­ten­ti sen­za cre­sce­re loro po­ten­za,
ab­bas­sa­ro­no li po­ten­ti, e non vi la­scia­ro­no pren­de­re ri­pu­ta­zio­ne a’ po­ten­ti fo­re­stie­ri.
E vo­glio mi ba­sti solo la pro­vin­cia di Gre­cia per esem­pio.
Fu­ro­no in­trat­te­nu­ti da loro gli Achei, e gli Eto­li, fu ab­bas­sa­to il Re­gno de’ Ma­ce­do­ni, fun­ne cac­cia­to An­ti­o­co;
nè mai gli me­ri­ti de­gli Achei o del­li Eto­li fe­ce­ro che per­met­tes­se­ro loro ac­cre­sce­re al­cu­no Sta­to,
nè le per­sua­sio­ni di Fi­lip­po gli in­dus­se­ro mai ad es­ser­gli ami­ci sen­za sbas­sar­lo,
nè la po­ten­za di An­ti­o­co potè fare gli con­sen­tis­se­ro che te­nes­se in quel­la pro­vin­cia al­cu­no Sta­to.
Per­chè i Ro­ma­ni fe­ce­ro in que­sti casi quel­lo che tut­ti i Prin­ci­pi savi deb­bo­no fare,
li qua­li non so­la­men­te han­no ad aver ri­guar­do alli scan­do­li pre­sen­ti, ma alli fu­tu­ri, ed a quel­li con ogni in­du­stria ri­pa­ra­re;
per­chè pre­ve­den­do­si di­sco­sto, fa­cil­men­te vi si può ri­me­dia­re, ma aspet­tan­do, che ti s’ap­pres­si­no,
la me­di­ci­na non è più a tem­po, per­chè la ma­lat­tia è di­ven­ta­ta in­cu­ra­bi­le;
ed in­ter­vie­ne di que­sta come di­co­no i me­di­ci dell’eti­ca,
che nel prin­ci­pio è fa­ci­le a cu­ra­re, e dif­fi­ci­le a co­gno­sce­re, ma nel cor­so del tem­po,
non l’aven­do nel prin­ci­pio co­gno­sciu­ta nè me­di­ca­ta, di­ven­ta fa­ci­le a co­gno­sce­re e dif­fi­ci­le a cu­ra­re.
Così in­ter­vie­ne nel­le cose del­lo Sta­to, per­chè co­gno­scen­do di­sco­sto, il che non è dato se non ad un pru­den­te, i mali che na­sco­no in quel­lo, si gua­ri­sco­no pre­sto;
ma quan­do, per non gli aver co­gno­sciu­ti, si la­scia­no cre­sce­re in modo che ognu­no li co­gno­sce, non vi è più ri­me­dio.
Però i Ro­ma­ni ve­den­do di­sco­sto gl’in­con­ve­nien­ti, li ri­me­dia­ro­no sem­pre, e non li la­scia­ro­no mai se­gui­re per fug­gi­re una guer­ra,
per­chè sa­pe­va­no, che la guer­ra non si leva, ma si dif­fe­ri­sce con van­tag­gio d’al­tri;
però vol­se­ro fare con Fi­lip­po ed An­ti­o­co guer­ra in Gre­cia, per non l’ave­re a fare con loro in Ita­lia;
il che non vol­se­ro, nè piac­que mai loro quel­lo che tut­to dì è in boc­ca de’ savi de’ no­stri tem­pi,
Go­de­re li be­ne­fi­cii del tem­po; ma bene quel­lo del­la vir­tù e pru­den­za loro;
per­chè il tem­po si cac­cia in­nan­zi ogni cosa, e può con­dur­re seco bene come male, male come bene.
Ma tor­nia­mo a Fran­cia, ed esa­mi­nia­mo se del­le cose det­te ne ha fat­to al­cu­na;
e par­le­rò di Lui­gi e non di Car­lo, come di co­lui, del qua­le, per aver te­nu­to più lun­ga pos­ses­sio­ne in Ita­lia, si sono me­glio vi­sti li suoi an­da­men­ti;
e ve­dre­te, come egli ha fat­to il con­tra­rio di quel­le cose, che si deb­bo­no fare per te­ne­re uno Sta­to di­sfor­me.
Il Re Lui­gi fu mes­so in Ita­lia dall’am­bi­zio­ne de’ Vi­ni­zia­ni, che vol­se­ro gua­da­gnar­si mez­zo lo Sta­to di Lom­bar­dia per quel­la ve­nu­ta.
Io non vo­glio bia­si­ma­re quel­la ve­nu­ta o par­ti­to pre­so dal Re; per­chè, vo­len­do co­min­cia­re a met­te­re un pie­de in Ita­lia,
e non aven­do in que­sta pro­vin­cia ami­ci, anzi es­sen­do­li, per li por­ta­men­ti del Re Car­lo, ser­ra­te tut­te le por­te,
fu for­za­to pren­de­re quel­le ami­ci­zie che po­te­va;
e sa­reb­be­li riu­sci­to il pen­sie­ro bene pre­so, quan­do ne­gli al­tri ma­neg­gi non aves­se fat­to er­ro­re al­cu­no.
Ac­qui­sta­ta adun­que il Re la Lom­bar­dia, si ri­gua­da­gnò su­bi­to quel­la ri­pu­ta­zio­ne che gli ave­va tol­ta Car­lo;
Ge­no­va ce­det­te, i Fio­ren­ti­ni gli di­ven­ta­ro­no ami­ci, Mar­che­se di Man­to­va, Duca di Fer­ra­ra, Ben­ti­vo­gli, Ma­don­na di Fur­lì,
Si­gno­re di Faen­za, di Pe­sa­ro, di Ri­mi­no, di Ca­me­ri­no, di Piom­bi­no, Luc­che­si, Pi­sa­ni, Sa­ne­si,
ognu­no se li fece in­con­tro per es­se­re suo ami­co.
Ed al­lo­ra po­te­ro­no con­si­de­ra­re li Vi­ni­zia­ni la te­me­ri­tà del par­ti­to pre­so da loro,
i qua­li, per ac­qui­sta­re due ter­re in Lom­bar­dia, fe­ce­ro Si­gno­re il Re di duoi ter­zi d’Ita­lia.
Con­si­de­ri ora uno con quan­ta poca dif­fi­cul­tà po­te­va il Re te­ne­re in Ita­lia la sua ri­pu­ta­zio­ne,
se egli aves­si os­ser­va­te le re­go­le so­prad­det­te, e te­nu­ti si­cu­ri, e di­fe­si tut­ti quel­li ami­ci suoi,
li qua­li, per es­se­re gran nu­me­ro, e de­bo­li, e pau­ro­si chi del­la Chie­sa, chi de’ Vi­ni­zia­ni, era­no sem­pre ne­ces­si­ta­ti a star seco,
e per il mez­zo loro po­te­va fa­cil­men­te as­si­cu­rar­si di chi ci re­sta­va gran­de.
Ma egli non pri­ma fu in Mi­la­no, che fece il con­tra­rio, dan­do aiu­to a Papa Ales­san­dro, per­ché egli oc­cu­pas­se la Ro­ma­gna.
Nè si ac­cor­se con que­sta de­li­be­ra­zio­ne che fa­ce­va sè de­bo­le, to­glien­do­si li ami­ci, e quel­li che se li era­no git­ta­ti in grem­bo,
e la Chie­sa gran­de, ag­giu­gnen­do allo spi­ri­tua­le, che gli dà tan­ta au­to­ri­tà, tan­to tem­po­ra­le.
E fat­to un pri­mo er­ro­re, fu co­stret­to a se­gui­ta­re; in­tan­to­chè, per por­re fine all’am­bi­zio­ne di Ales­san­dro,
e per­ché non di­ve­nis­se Si­gno­re di To­sca­na, gli fu for­za ve­ni­re in Ita­lia.
E non gli ba­stò aver fat­to gran­de la Chie­sa, e tol­ti­si gli ami­ci,
che per vo­le­re il re­gno di Na­po­li, lo di­vi­se con il Re di Spa­gna;
e dove egli era pri­ma ar­bi­tro d’Ita­lia, vi mes­se un com­pa­gno, ac­cio­chè gli am­bi­zio­si di quel­la pro­vin­cia e mal­con­ten­ti di lui aves­se­ro dove ri­cor­re­re;
e dove po­te­va la­scia­re in quel Re­gno un Re suo pen­sio­na­rio, egli ne lo tras­se per met­ter­vi uno che po­tes­se cac­ciar­ne lui.
È cosa ve­ra­men­te mol­to na­tu­ra­le e or­di­na­ria de­si­de­ra­re di ac­qui­sta­re, e sem­pre, quan­do gli uo­mi­ni lo fan­no che pos­si­no, ne sa­ran­no lau­da­ti e non bia­si­ma­ti;
ma quan­do non pos­so­no e vo­glio­no far­lo in ogni modo, qui è il bia­si­mo e l’er­ro­re.
Se Fran­cia adun­que con le sue for­ze po­te­va as­sal­ta­re Na­po­li, do­ve­va far­lo; se non po­te­va, non do­ve­va di­vi­der­lo.
E se la di­vi­sio­ne che fece con i Vi­ni­zia­ni di Lom­bar­dia, me­ri­tò scu­sa per ave­re con quel­la mes­so il piè in Ita­lia,
que­sta me­ri­tò bia­si­mo per non es­se­re scu­sa­to da quel­la ne­ces­si­tà.
Ave­va adun­que Lui­gi fat­to que­sti cin­que er­ro­ri: spen­ti i mi­no­ri po­ten­ti;
ac­cre­sciu­to in Ita­lia po­ten­za a un po­ten­te; mes­so in quel­la un fo­re­stie­re po­ten­tis­si­mo; non ve­nu­to ad abi­tar­vi; non vi mes­so co­lo­nie.
Li qua­li er­ro­ri, vi­ven­do lui, po­te­va­no an­co­ra non lo of­fen­de­re, se non aves­se fat­to il se­sto, di tor­re lo Sta­to a’ Vi­ni­zia­ni;
per­chè quan­do non aves­se fat­to gran­de la Chie­sa, nè mes­so in Ita­lia, Spa­gna, era ben ra­gio­ne­vo­le e ne­ces­sa­rio ab­bas­sar­li;
ma, aven­do pre­so quel­li pri­mi par­ti­ti, non do­ve­va mai con­sen­ti­re alla ro­vi­na loro;
per­chè es­sen­do quel­li po­ten­ti, areb­bo­no sem­pre te­nu­ti gli al­tri di­sco­sto dal­la im­pre­sa di Lom­bar­dia,
sì per­chè i Vi­ni­zia­ni non vi areb­be­ro con­sen­ti­to, sen­za di­ven­tar­ne Si­gno­ri loro;
sì per­chè gli al­tri non areb­be­ro vo­lu­to tor­la a Fran­cia per dar­la a loro; e an­dar­li ad ur­ta­re am­bi­dui non areb­be­ro avu­to ani­mo.
E se al­cun di­ces­se, il Re Lui­gi cedè ad Ales­san­dro la Ro­ma­gna, ed a Spa­gna il Re­gno per fug­gi­re una guer­ra;
ri­spon­do con le ra­gio­ni det­te di so­pra, che non si deb­ba mai la­sciar se­gui­re uno di­sor­di­ne per fug­gi­re una guer­ra;
per­chè ella non si fug­ge, ma si dif­fe­ri­sce a tuo di­sav­van­tag­gio.
E se al­cu­ni al­tri al­le­gas­se­ro la fede, che il Re ave­va data al Papa,
di far per lui quel­la im­pre­sa per la ri­so­lu­zio­ne del suo ma­tri­mo­nio, e per il Cap­pel­lo di Roa­no,
ri­spon­do con quel­lo che per me di sot­to si dirà cir­ca la fede dei Prin­ci­pi, e come ella si deb­ba os­ser­va­re.
Ha per­du­to dun­que il Re Lui­gi la Lom­bar­dia per non ave­re os­ser­va­to al­cu­no di quel­li ter­mi­ni os­ser­va­ti da al­tri, che han­no pre­so pro­vin­cie, e vo­lu­te­le te­ne­re.
Nè è mi­ra­co­lo al­cu­no que­sto, ma mol­to ra­gio­ne­vo­le ed or­di­na­rio.
E di que­sta ma­te­ria par­lai a Nan­tes con Roa­no, quan­do il Va­len­ti­no
(che così vol­gar­men­te era chia­ma­to Ce­sa­re Bor­gia fi­gliuo­lo di Papa Ales­san­dro) oc­cu­pa­va la Ro­ma­gna;
per­chè di­cen­do­mi il Car­di­na­le Roa­no, che gl’Ita­lia­ni non s’in­ten­de­va­no del­la guer­ra, io ri­spo­si,
che i Fran­ce­si non s’in­ten­de­va­no del­lo Sta­to, per­chè, in­ten­den­do­se­ne, non la­sce­reb­bo­no ve­ni­re la Chie­sa in tan­ta gran­dez­za.
E per espe­rien­za si è vi­sto, che la gran­dez­za in Ita­lia di quel­la, e di Spa­gna, è sta­ta cau­sa­ta da Fran­cia, e la ro­vi­na sua è pro­ce­du­ta da loro.
Di che si cava una re­go­la ge­ne­ra­le, qua­le non mai, o raro fal­la, che chi è ca­gio­ne che uno di­ven­ti po­ten­te, ro­vi­na;
per­chè quel­la po­ten­za è cau­sa­ta da co­lui o con in­du­stria, o con for­za, e l’una e l’al­tra di que­ste due è so­spet­ta a chi è di­ve­nu­to po­ten­te.

Niccolò Machiavelli
Il Principe / The Prince
Bilingual Edition
Translated by William K. Marriott

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